Sopra: manifesto della Riforma Universitaria per il centenario
ARGENTINA
CORDÓBA, LA DOTTA E LA DOPPIA
CENTENARIO DELLA RIFORMA UNIVERSITARIA (1918-2018)
sotto Museo de la Reforma: stilografica con cui venne redatto il Manifesto Liminar
CORDÓBA 11 Settembre 2017 ore 16, Museo de la Reforma Universitaria Se la fascinosa Buenos Aires può essere un enigma, Cordóba è sempre una soluzione. Perché, pur essendo la seconda città del paese per grandezza - anche se conta un decimo degli abitanti della capital federal - e vantando il casco historico più compatto e importante dell’Argentina, la città della Riforma e del Cordobazo è di immediata decifrazione. Sopra abside della Catedral; sotto: Plaza San Martin e sfondo Catedral Sopra: particolare ingresso in stile Art Nouveau; sotto: biglietteria della vecchia stazione ferroviaria O quasi. Perché resta doppia: “gesuitica”, conservatrice e tradizionalista - il centro antico è un francobollo di poche cuadras disegnate da monumenti imperdibili di impronta coloniale dove sempre campeggiano una chiesa più o meno délabrée ma fascinosa e un centro sindacale altrettanto scarruffato - e al contempo laica, progressista e rivoluzionaria e mai peronista (mentre la provincia lo fu e oggi è dichiaratamente radical-macrista). Sopra e sotto Convento di Santa Teresa e relativo museo
Sopra: monumento all'Indipendenza e Centro Civico; sotto: cartiglio stemma della Manzana gesuitica Murales nel campus universitario nel Parco Sarmiento Fu sede della prima scuola primaria del paese voluta dal più lucido presidente argentino mai eletto - Domingo Faustin Sarmiento vi fondò anche la prima Esposizione di Artes Y Productos Nacionales nel 1871, l’Accademia Nazionale delle Scienze e l’Osservatorio astronomico che tutt’oggi è l’oracolo del clima -; vanta la più antica università seconda in tutto il continente (1613) che fu la culla della prima Riforma Universitaria diffusa poi nelle Americhe di cui ricorre il centenario (1918-2018); fu pistone e quinta del movimento studentesco e operaio di sessantottina memoria (il Cordobazo) e dunque sede della prima industria aeronautica, ferroviaria e automobilistica. Sopra: Museo dela Reforma Universitaria; sotto: nurales nel campus universitario Infine oggi, con i musei d’arte - moderna - Caraffa, Pérez e Ferreira, le gallerie d’arte contemporanea e di fotografia cresciute intorno al quartiere di Nueva Cordóba ( El Gran Vidrio, The White Lodge, Casa Naranja, home gallery Giorgina Valdez ), collezionisti acuti e generosi come l’architetto Gustavo Vidal, critici e curatori del calibro di Tomas Bondone e Blanca Freites e il campus universitario snocciolato nel verde polmone del Parque Sarmiento dice la sua senza l’isterica prosopopea porteña e sempre con caustico umorismo. E’ una città abbracciabile in poco tempo e vivibile a lungo grazie alle montagne, ai fiumi, alle pianure ai deserti che danzano intorno a quello che, pirenaico e peruviano, messicano e alpino, è il cuore del paese.
Sopra: Museo Caraffa e sotto Museo Ferreyra
Sopra optcal art nel museo Ferreyra e sotto faro della libertà del Museo Caraffa
Fondata sulla strada carovaniera che dalle miniere del Potosì confluiva al Rio de la Plata, antagonista di Buenos Aires perché se quest’ultima guardava dal porto verso l’interno Cordóba faceva il contrario, ora almeno nei trasporti aerei e nell’arte - che rimane una cifra della città -, “la Docta” si fa testa di ponte dal centro del paese verso ovest, nord ed est e, ad esempio, cerca ed espone nuovi artisti locali o provenienti dal Chaco, da Formosa, da Santiago del Estero: insomma da quelle regioni un po’ tralasciate per superbia dalla capitale e che però sfornano artisti/e curiosi/e come Carla Colombo, Roberto Jacoby, Lucas di Pascuale, Hugo Aveta, José Quinteros, Romina Castiñeira Sopra artista e curatrice de El Gran Vidrio Romina Castineira e sotto White Lodge Gallery di Giorgina Valdez
Sopra: collezionista di fotografia Gustavo Vidal e sotto: curatrice Blanca Freites a destra, a sinistra gallerista de The White Lodge e critico Tomas Bondone.
In alto: spazio Naranja e nostra di Antonio Segui; sotto: la curatrice Balnca Freites nel museo Perez sotto: opening allo spazio Naranja
a destra in basso: soffitto della chiesa della Compagnia di Gesù
Cuore e anima del centro storico, concentrato intorno alla piazza San Martín, alla cattedrale neobarocca di Nostra Signora dell’Assunzione che nelle cupole presenta alcuni curiosi elementi elaborati da artisti indigeni e al pittoresco convento di Santa Teresa intorno al cui chiostro è allestito un piccolo ma prezioso museo d’arte religiosa, è la manzana jesuítica. Il blocco gesuita è distillato nella austera chiesa della Compagnia di Gesù (1644-74) dal meraviglioso soffitto ligneo a capriate a forma di scafo rovesciato, nel Collegio Nazionale di Montserrat neoclassico e scandito da una biblioteca gonfia di preziose rilegatur, e da una valida pinacoteca, e nella mitica Università Nazionale di Córdoba.
Sopra: soffitto della Catedral e in basso ingresso della Università gesuitica, storica
Sotto a destra sala del rettorato che venne occupato durante la protesta del 1918; a sinistra manifesto de la Reforma Universitaria
La rivolta degli studenti venne appoggiata sia dalla borghesia - tra cui gli stessi benestanti genitori poiché l’università era elitista contando al più circa 500 diplomandi contro gli odierni 130.000 - sia dalla classe operaia assunta nel comparto tessile e nei frigoriferos (macelli); ed esplose con un pretesto alle Clínicas del barrio Alberdi. Foto simbolo dell'occupazione del rettorato durante le lotte per la Rifoma Universitaria “Allora come oggi era l’ospedale universitario”, racconta Gonzalo Sarria direttore del Museo della Riforma circondato dalle fotografie dei protagonisti Deodora Roca, Saúl Taborda e Julio González “dove i convittori non potevano rientrare oltre le venti; ma un giorno - la ribellione contro il miope conservatorismo era già in essere - ritornarono alle due del mattino provocando la reazione spropositata della direttrice, una monaca francese. Fu la miccia che portò alla democratizzazione della UNC liberandone l’accesso anche ai meno abbienti. Studenti, operai e gente comune scesero nelle strade innalzando barricate in quello che ora è un quartiere popolato da emigranti boliviani, peruviani, paraguagi. Il Manifesto Liminar con le richieste degli studenti fu redatto poco dopo, il 21 giugno, e dopo pochi giorni di protesta fu accettato dal rettorato. E’ stato un emblema che fece il giro del continente. E qui è esposta anche la stilografica con cui fu scritto”. nella foto sotto Museo del Cordobazo e direttore
Campus universitario nel Parco Sarmiento
Sotto: Parco della Memoria ai desaparecidos nel campus universitario
Il museo è austero ma più strutturato di quello minuto e recente sul Cordobazo che espone solo fotografie delle barricate e delle manifestazioni operaie e studentesche provocate dalla decisione, pilotata dal governo dittatoriale di Onganía, di cassare il sabato inglese (mezza giornata di lavoro era pagata il doppio). Una rivolta violententemente repressa nel sangue dalla polizia il 29 maggio del 1969 (14 morti “ufficiali” tra sindacalisti e operai) ma che, diffusasi poi nel paese, causò la caduta della dittatura di Onganía.
murales e studenti nel campus universitario
Oggi invece lo spirito rivoluzionario è figurato dai murales politici (dal Che, che era di casa ad Alta Gracia nella sierra cordobese dipinta da Antonio Segui, ad Augustín Tosco) che colorano gli istituti della Ciudad Universitaria: un rosario di edifici del primo Novecento acquattati nel parco Sarmiento disegnato dal paesaggista Charles Thays in cui è ritagliato il giardino della memoria (desaparecidos) che è una installazione di sedie vuote simile a quella creata nella piazza del ghetto a Cracovia. In basso adestra:Museo Ferreyra
Sul parco si affaccia anche il centro culturale Museo Caraffa (MEC), anticipato da uno stele flesso di cemento chiamato “faro della libertà”, che propone selezionate mostre d’arte contemporanea e che dialoga muto con il Museo di Belle Arti Evita-Museo Pereyra, più classico ma ricavato in un elegante edificio progettato in stile Impero nel 1919 dal francese Ernst Paul Sanson che a sua volta fronteggia il Museo Dionisi di fotografia. Il polo museale dedicato al moderno e contemporaneo, decisamente interessante, non impedisce di apprezzare due storiche istituzioni di gran pregio: il Museo Pérez ricavato in un palazzo “patrizio” dell’aristocratica calle Ancha della città e che risulta un prezioso e sintetico manuale si storia della pittura argentina dal 1868 a oggi e l’ottocentesco e neoclassico Teatro Libertador General San Martín opera di Francesco Tamburini, l’architetto che terminò anche la Casa Rosada di Buenos Aires.
Sopra: home gallery di Jaime Conci e sotto casa collezionista di fotografia Gustavo Vidal
Sotto: la Canada di notte
Text and Photos by Andrea Battaglini photographer and travel writer since 1978
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