Sopra:profughi che aspettano di poter attraversare lo stretto
Sopra:veduta notturna
MELILLA: UN ECLETTICO LABORATORIO,
UNA FORTEZZA INESPUGNABILE DAI MIGRANTI
O UNA POETICA CITTA’ COMPLESSA?
Come sottolineano Frontex e Open Migration le due enclavi spagnole in Marocco di Melilla e Ceuta sono di fatto delle fortezze inespugnabili (dai migranti): circondate da tre reti alte dieci metri e da fossati e vigilate da severe guardie di frontiera. Sono, a oggi, l’emblema della chiusura totale tanto che il nuovo governo spagnolo di Pedro Sànchez ha chiesto in nome dei diritti umani dei migranti di “smorzare e umanizzare la concertina”, la “fisarmonica di confine”. Eppure Melilla è sempre stata un laboratorio sociale di convivenza e integrazione. Di grande fascino e interesse.
sopra città alta castello e faro e colpo di cannone sotto:faro fortificatoi
MELILLA, giugno 2007- luglio 2018 Uno sparo al sole e Melilla si fece. Un colpo di cannone elevato a 21° e lungo duemilanovecento metri: dalle mura rinascimentali di Victoria Chica, baluardo della cinquecentesca cittadella fortificata, ai confini del cimitero islamico di Sidi Guariach. E poi un gigantesco compasso: aperto sul raggio tracciato dalla palla di pietra del “Caminante” e ruotato a semicerchio su di un pezzo di Rif marocchino. Così nel giugno del 1862 il governatore al servizio di Isabella II, d’accordo col sultano del Marocco Muley Muhammed IV, limitò gli attuali confini spagnoli di Melilla subito dichiarata porto franco. Che è sì iberica, ma è ritagliata per 12,33 chilometri quadrati nella desertica costa nordorientale del Magreb proprio di fronte ad Almeria da cui la separa il Mar de Alboràn. Sopra: moschea Sopra:dettaglio modernista Un’enclave, una piattaforma-laboratorio di circa ottantamila anime (inclusi gli illegali che sono quasi quindicimila) nel recente passato analizzata dai ricercatori della Comunità Europea come modello multietnico e multireligioso di coabitazione, convivenza, integrazione o tolleranza tra diverse comunità: quella berbero-musulmana (circa 40.000 islamici tra documentati e non con 11 moschee), l’ebraica (8 sinagoghe e 1.000 tra ortodossi eskenaziti e potenti sefarditi), la gitana (circa 1.000 misconosciuti), l’hindu (neanche un centinaio immigrato negli anni Sessanta ma ben identificabile nei pressi del tempio) e quella cattolica (circa 35.000). Tutti emigranti - gli spagnoli provengono per lo più dall’Andalusia e i mori dall’Algeria e dal Marocco - e tutti credenti che coagulano una cittadina placida, poetica ma davvero complessa. Sopra:detaglio moschea e minareto Sopra dettaglio modernista Anche l’architettura riflette il melting pot sociale di Melilla: un nucleo storico, il pueblo antico, vigila su di un quartiere modernista che in pochi blocchi di strade (circa duemila metri quadri) conta oltre 150 edifici liberty, nouveau, storicisti e déco e che a sua volta è circondato da altalenanti reticoli esotici e musulmani simili a macchie di neve sciolte da un sole giaguaro. Un sole desertico appunto, visto che il sahariano mare di dune inizia a ondulare il paesaggio neanche 400 chilometri a sud. Dunque la piccola, europea e giovane Melilla, che vanta uno dei più alti tassi di natalità d’Europa, con il 28% della popolazione minore di diciotto anni e un livello di istruzione e preparazione culturale superiore in media a quello del pentagono spagnolo, è sorprendente. Come il suo sviluppo. . Sotto:museo ricavato nell'Acropolis sul Baluarte de la Concepcion Sopra:calle del General Prim La caritativa “figlia di Marte”, capace di albergare disparati saperi e conoscenze, è infatti cresciuta di pari passo con l’arrivo delle truppe spagnole inviate di volta in volta per ragioni difensive, per arginare ora le pretese e le ingerenze del sultanato marocchino ora gli attacchi dei “principi ribelli” del Kelaya rifeño. Per ogni nuovo contingente sbarcato, nuove caserme e nuove case per i funzionari al seguito. Prima il peñon calcareo, lo sperone roccioso a picco sul Mare Nostrum conquistato nel 1497 dal duca di Medina Sidonia don Juan de Guzmàn e palleggiato per anni tra castigliani e aragonesi, poi i quattro recinti fortificati, separati da ampi fossati e innalzati tra il XVI e il XIX secolo; e infine il rosario di fortini esterni, circolari, romboidali e pentagonali, eretti nell’Ottocento e intorno a cui si è urbanizzata la città attuale scomposta in collinette e cañadas, i canaloni-quartieri di Cabrerizas, Reina Regente, Reina Victoria. Sotto a destra: statua giardini esotici Solo il geometrico “triangolo d’oro” modernista, elaborato nei primi quattro decenni del Novecento dal catalano Nieto y Nieto seguace di Gaudì, ha una sua lineare configurazione anche se estrosa, “dadaista” e interrotta e frammentata dall’animazione multietnica: nel centro moderno con la coda dell’occhio si possono vedere una chiesa, una sinagoga e una moschea giustapposte a pochi metri di distanza e infilate in prospettiva come pietre di una fibula esuberante; od osservare, all’ora dell’aperitivo rigorosamente consumato dalle 19 alle 23, il fiume variopinto che affolla i classici bar ispanici inscritti nella golosa e imperdibile “ruta de tapeo” promozionata ovunque nei 3 quotidiani mellilenses come nei pochi pieghevoli turistici ora online.
Sopra : dettaglio modernista. Sotto: la piscina complesso balneare sulla spiagga di Melilla
Sotto:uno degli storii fortini della falange
Tutti i locali, dalla Cerveceria in stile déco alla manchega Casa Sadie, al calar del sole polveroso diventano degli alcolici souk: gonfi di chador, caftani e jellabe arabe e berbere svolazzanti sotto alle kippah dei rabbi che sgomitano tra grappoli di minigonne strozzate all’inguine e piramidi di militari divise mimetiche (la città è ancora presidiata da 5.000 professionisti dell’esercito spagnolo un po’ nostalgici di Franco che negli anni Venti e Trenta era di caserma a Melilla). Umanità pigiate alla barra (il bancone di mescita) per un tubo di birra; e crogiolo surrealista di genti che vociando compongono una sinfonia linguistica con note tarifit e amazigh, jiddish, andaluse e castigliane. Sopra: dettaglio dell'Acropolis. Sotto: mercato centrale alimentare Sotto:al mercato del pesce Sotto:una delle canadas
Travolti da queste babeliche atmosfere, segnali di un eloquente rispetto della città per le differenze e ormai abituata a gestire la costante immigrazione, è difficile credere di essere proprio nella stessa roccaforte conquistata dai re cattolici e da allora strenuamente difesa dalle rivendicazioni dei sultani marocchini che ancora la rivendicano. Come è complesso capire la gelosia protettiva e antirealista dei berberi che sono divenuti melillenses a tutti gli effetti (il 75% di loro è nato a Melilla) e, un po’ per tradizione e un po’ per tornaconto, sbandierano l’acquisita nazionalità spagnola criticando e osteggiando perfino il prepotente e rivendicativo centralismo di Rabat. Sotto:ingresso a uno dei fortini snocciolati introno all'enclave Sotto: pescatore Sotto avventori bar nel centro Sotto: Acropolis
Sotto: dettaglio casa modernista
In basso a destra : nel quartiere araboi
Oramai si sentono già europei, almeno quelli sotto i quarant’anni che hanno frequentato gli istituti secondari (nel 1985 ce n’erano solo 2 ma oggi ben 7) o hanno studiato all’UNED, la parificata università a distanza ricavata in un pinnacoluto edificio di stile “neoveneziano”. Anzi, proprio grazie all’elevata educazione ricevuta negli ultimi venticinque anni, stanno tentando di recuperare la cultura berbera dimenticata in passato: come l’idioma tamazight, non scritto e tramandato oralmente, che solo ora stanno finalmente trascrivendo in caratteri arabi o latini. E che è una delle lingue minoritarie della Comunità Europea perché è comunemente parlata anche da tutti i marocchini emigrati nel vecchio continente.
“Melilla non è solo una realtà ispano-rifeña; è una miscela di razze. Non a caso le scuole miste rispettano tutte le feste delle varie comunità e chiudono a Natale come allo Yon Kippur, alla festa hindù del Holim come alla fine del Ramadàn. Vacanze continue ma inevitabili in un fazzoletto di terra dove i conflitti di convivenza coatta si sono svaporati nel tempo anche se a volte la tolleranza reciproca è ipocrita perché figlia di un reale ed egoistico disinteresse. I veri problemi sono comunque altri. Sotto tre scatti nella sinagoga
Il maltrattamento delle donne e dei minori oltre confine, e specialmente nella sovradimensionata Nador che non ha neppure sufficienti letti ospedalieri per le partorienti, costringe le berbere a rifugiarsi in massa a Melilla dove trovavano subito ricovero, protezione e diritti fino a pochi anni fa ma ora con i problemi causati dai migranti meno. E poi la droga pesante, scambiata con l’hashish coltivato nel Rif, che circola soprattutto nella canada de la muerte, l’impenetrabile quartiere musulmano dove gli immigrati illegali costruiscono dal giorno alla notte una casa sopra l’altra senza autorizzazioni e senza pagare né tasse, né elettricità, né la raccolta dell’immondizia”, precisa il presidente della comunità ebraica Mordejay Guahnich che, sollecitato, incalza: “nella canada fino al 1992 c’erano circa cento case, ora non si possono neanche più contare ma gli amministratori chiudono gli occhi perché è diventata un serbatoio prezioso di voti; la cecità in cambio del consenso politico”. Sopra:via General Prim Sopra:giardini esotici Superalcolici, paraboliche, cellulari, cucine, tutte le merci made in Europe al buio e d’incanto si volatizzano in Marocco: “i pendolari-contrabbandieri non hanno nulla da perdere e perfino la prigione, o la reclusione nel centro del CEAR (centro temporaneo di immigrazione acronomio della Comisiòn Espanola de Ayuda al Refugiado”), per i berberi diventa un paradiso al confronto con il magro e fragile quotidiano che sopportano nella limitrofa e poverissima Nador, un agglomerato che in diciotto anni è cresciuto da 15.000 a 380.000 abitanti, direi anzi sopravvissuti”. Sotto: canadas Sopra:iglesia de la Concepcion
Sopra:dettaglio paliotto Iglesia de la Concepcion Sotto: bar modernista
Sopra:thé alla menta servito di notte nel quartiere arabo
Sopra:porto e mura Acropolis L’omaggio marmoreo c’è, e lì resta anche se circa due decadi or sono scoppiò sulla stampa spagnola una polemica sulla statua ancora eretta nella galiziana città natale di El Ferrol: cose di Spagna, non di un’enclave!
Sopra a sinistra: sovrapposizione dettaglio architettura moderista e palma giardini esotici. Sopra a destra minareto moschea: Solo al tenente José Gomez del “Tercio”, allora ancora in forza alla Legiòn cioè, brillarono gli occhi sfogliando nel museo militare ricavato nel fortino di Rostrogordo un album con le foto di Franco:”…mentre arrivava la forza pubblica fu il tenente Julio de la Torre a sollecitare, con il telefono interno, l’aiuto della Legiòn che accorse rapidamente sbaragliando le Guardias de Seguridad. Erano le 16 del 17 luglio e poco dopo il tenente colonnello Maximino Bartomeu, al comando di una compagnia di fanteria, proclamò lo stato di Guerra leggendo il Bando firmato dal General Franco. Eccoli lì appesi” concluse indicando all’inviato di “El Pais” un’immagine sfuocata di Franco e Bartomeu appiccicati al muro del fortino.
Sopra:dettagli modernisti
Sopra:retablo e facciata Iglesia de la Concepciòn Per lo più sono i frutti dell’estro di Enrique Nieto y Nieto, catalano collaboratore e seguace di Gaudì che per 43 anni si dedicò alla città proprio nell’epoca in cui Melilla faceva sognare Sonia Delaunay stimolandola al “simultaneismo”. Di Nieto y Nieto, oltre al palazzo de La Reconquista, al Palacio Municipal, alla Casa Tortosa, alla sinagoga, alla moschea, alla Casa Palacio de Cristal, anche il Palacio de la Asemblea che domina il cuore della città, l’ariosa piazza di Spagna: una facciata concava, art déco, stretta tra due torri laterali che fiancheggiano un balcone centrale movimentato da un orologio e dallo stemma cittadino. Sembra una corona ducale.
Sopra:canada a siistra e a destra statua del generale Franco Una soluzione imponente e al contempo discreta, aperta da una parte verso il triangolo modernista e dall’altra verso gli esotici giardini del Parco Hernàndez articolati a forma di cannone, proprio di quello che nell’Ottocento tracciò l’unità di misura dei confini di Melilla. Di una città “ideale” pensata sulla carta, ma che fino alla fine del XIX secolo non esisteva come tale annoverando solo 9.000 abitanti. C’era Melilla la Vieja, e cioè la cittadella cresciuta sullo sperone roccioso con la chiesa barocca de la Concepciòn che protegge tre notevoli ma impolverati altari barocchi, il rinascimentale Hospital del Rey trasformato poi in museo d’arte, i forti del Rosario, de las Victorias e di San Carlos che incorniciano l’armonica piazza de los Carros oggi verticalizzata dalle gru che stanno restaurando il cuore antico di Melilla.
Sopra:a destra dettaglio statua modernista nei giardini esotici e a sinistra spiedini grigliati nel quarrtiere arabo, street food E c’erano i multiformi e appariscenti fortini esterni di Camellos, di Cabrerizas e di Rostrogordo, progettati da Francisco Roldàn, che per secoli difesero gli orti del Rio de Oro dalle incursioni arabe e intorno a cui pian piano si svilupparono i quartieri civili. Oggi sono ancora presidiati dai militari o in restauro e dunque invisitabili all’interno senza permessi. Poi il fiume de Oro sotterrato nel mezzo e una montagna alle spalle, quel Gurugu che oggi è in Marocco: dichiarato Parco Nazionale, alle pendici protegge una colonia di scimmie di Berberia e le rovine romane di Tazuda e in cima ospita una base americana da cui gli occhi lunghi di Trump possono vigilare i confini algerini.
Sopra:stemma di uno dei fortini e a destra ingresso del museo municipale Forse in futuro cerniera tra Europa e Africa (sarà, col consenso di del re del Marocco, tutt’uno con Nador?) e forse preziosa e tecnologica testa di ponte tra mondo musulmano e cattolico, tra una Spagna che sprigiona new economy e un Marocco bisognoso di know-how. Eppure Melilla è una piccola “tazzina d’argento”, una manciata di terra misconosciuta e denigrata dagli stessi spagnoli che snobbano i suoi abitanti considerandoli di seconda classe. Ed è anche assediata da funzionari statali (oltre cinquemila) che si sentono negletti e pensano e vivono Melilla solo come un “problema” di incerte relazioni internazionali tra Nato, Stati Uniti, Unione Europea, Spagna e Marocco. Punto. Sempre incanta invece gli occhi stranieri. Poetica, curiosa e, nei ritmi, rilassante. Languida come il secco mare di sabbia da mille e una notte che profuma di Africa, come le oasi e i palmeti di Figuig e Tafilat che distano solo sei ore di jeep. Sei ore oniriche e avventurose. Verso altri orizzonti del reale.
Text and Photos by Andrea Battaglini photographer and travel writer since 1978
Sopra a sinistra lungomare e marina e a destra cupola di un edificio modernista NOTIZIE PRATICHE/TIPS Arrivare.
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