MA
DOVE VAI?
1821-2021,
5
GENNAIO, BICENTENARIO
IN
MEMORIA
DI CARLO PORTA E DI GUIDO BEZZOLA
Sopra: Carlo Porta al Verziere
E’ demerito della Lega che si è appropriata
volgarmente del dialetto milanese e lombardo storpiandolo,
esaltandolo a dismisura e rendendolo fastidioso ai più, se il
grande poeta Carlo Porta è stato oscurato negli ultimi lustri.
E Guido Bezzola, erudito italianista e
suo più lucido critico, si rigira nella tomba. Anzi, in
occasione del bicentenario della morte del Carlin - sepolto nel cimitero di San Gregorio proprio il
5 gennaio del 1821 - sicuramente fa capolino deridendo
i politegh secca bal
con la colta gaia
acidità e asprezza verbale, degne del poeta meneghino, che
hanno contraddistinto le magistrali analisi e interpretazioni
dell’autore di “Fraa Diodatt”, di “On funeral”, della
"Ninetta del Verzee", del “Lament del Marchionn di gamb avert”
poesia quest’ultima che
fu “uno dei testi maggiori della poesia italiana tout
court”. Porta è stato artefice
pure, et pourquoi pas, di alcuni canti danteschi genialmente tradotti in
milanese. Il genio, forse sulle orme di Rabelais e
anticipando le perifrasi pirandelliane sull'umorismo, aveva
capito che in qualsiasi querelle verbale se si
riesce a mettere in ridicolo l'avversario si vince senza
spargere sangue né provocare lutti, a parole ovviamente,
nonostante alla sua epoca a Milano deridere austriaci,
napoleonici o prussiani era un vero azzardo: si rischiava la
vita! Sopra:
la borrominiana San Francesco di Paola in via Manzoni Si deve a Bezzola,
e non tanto all'Isella che ebbe fondamentalmente un approccio
solamente esegetico e filologico, se con il suo “Charmat
Carlin”, come con il “Tommaseo a Milano” entrambi editati da
Il Saggiatore, Porta è stato ufficialmente riconosciuto a
tutto tondo come un grande interprete, poetico e letterario,
del suo tempo e, ma non solo, del popolo lombardo. Sopra e sotto: San Francesco da Paola in via Manzoni Sopra e sotto: San Francesco da Paola in via Manzoni
Feroce anticlericale, senza implicazioni politiche, e rassegnato a essere “considerato un letterato à côté, a mezzo tempo con la carriera e l’attività del contabile” - che allora era meno invasiva dei finance’ performers odierni - Porta fu amico stimato del Foscolo (“la vostra casa fu asilo cordialissimo a me in tutte quelle mie tristissime sere” gli scrisse nel 1814) di Grossi, di Berchet e del conte Porro: tutti non gli lesinarono sincera simpatia (in parte, meno, anche Manzoni). Dunque in onor suo doveroso tracciare un percorso snodato per i luoghi calpestati e detti dal Carlin. Premettendo che se poco è rimasto davvero intatto della Milano dell’epoca - ad esempio la Scala c’era ma con meno respiro visivo/spaziale perché priva dell’omonima piazza e pure diversa era piazza del Duomo la cui facciata era già ibrida e pesante a estetico favore dell’abside rimasta tale e quale -, durante i covidici lockdown , i coatti silenzi e i metafisici luoghi spopolati di gente comune ma carichi di clochard e senzatetto, ben richiamano la città taciturna e buia di sera (era poco e mal illuminata dai lampioni a gas) descritta con dovizia dal contabile del Teatro Patriottico poi Filodrammatici. Milano, circoscritta alle mura spagnole per lo più, era soprattutto assai più maleodorante. E tutto si può dire dell’attuale amministrazione milanese salvo che la raccolta rifiuti non funzioni a dovere. Sopra
via Manzoni e sotto La Scala Sopra
via Manzoni e La Scala Nacque in via Manzoni proprio
all’altezza, pare, di San Francesco di Paola che con
San Vittore è la chiesa barocca più spettacolare ed esuberante
di Milano/expo-food-city
, non lontano dagli archi, a bande di marmo bianco e nero, di
Porta Nuova che furono scarti delle mura erette contro il
Barbarossa. La chiesa è di curioso stile, visto che quello che
resta a Milano di monumental-chiesastico
rivela soprattutto un’impronta romanica, severa.
All’interno, ovoidale e sagomato,
campeggia ancora il fonte battesimale: originale come
gli stalli, notevoli. La via aristocratica ancora alterna case e
palazzi ottocenteschi
ad anonimi estri dalla
più recente mano geometra. Poi, all’altezza della
fontana-scalinata di Aldo Rossi, si
imbocca e percorre in tutta la sua lunghezza via
Montenapoleone per giungere all’incomincio, e cioè al numero 2
dove abitò a lungo, dal 1811 fino al decesso (allora era la
Contrada del Monte 853). Nel 1835
la casa venne rifatta sotto l’ala di Radetzky con due
ali sporgenti: il Palazzetto Taverna/Radice Fossati. Ma va a
pennello perché Porta
per DNA restò
nostalgico dell’illuminato imprinting
austriaco teresiano e giuseppino, come tutta la sua famiglia
del resto e buona parte dei milanesi, tanto che dei militari
napoleonici di stanza in città quando levarono le tende
ebbe a nominarli e poetarli…”paracar che scapee de
Lombardia”. Sopra
e sotto via Montenapoleone 2 casa del Porta
Dalla portiana dimora conviene calpestare via San Paolo per giungere, oltre piazzetta Meda, alla cinquecentesca casa degli Omenoni le cui cariatidi masticate dal tempo ancora sorprendono col loro severo cipiglio grazie al novecentesco restauro pilotato dall’ingegner Giancarlo Pizzi principe di Porcia colui che restaurò i giardini di Villa Litta a Lainate. Anticipa di pochi metri la Piazza Belgioioso e la casa di Manzoni all’angolo con via Morone la quale riconduce curva e angusta come ai tempi antichi nella via dedicata allo storico romanziere e al Teatro alla Scala affiancato dal Teatro Filodrammatici frequentato da Porta e dagli amici della Cameretta nei tardi pomeriggi perché ai suoi tempi i teatri aprivano - e chiudevano - prestissimo. Di notte infatti si stava in casa e si dormiva per lo più, mentre la città giaceva “in un buio e in un silenzio sepolcrali regno di cani randagi, nottambuli ubriachi tagliaborse e ronde di poliziotti e soldati”: la ròndena di crovatt come la chiama il popolano Bongee protagonista nei “Desgrazzi” (1812):... “sebbene i croati (austroungarici, ndr) non erano ancora tornati”. Sopra
Teatro Filodrammatici ex Teatro Patriottico Chiusa nei bastioni spagnoli la Milano di
allora era costellata da ortaglie e verso nord dal terrain vague che incorniciava il Castello: una zona malfamata.
Oltre, la piazza d’armi era chiusa dall’arco della Pace
iniziato in onore di Napoleone e terminato per Francesco I.
Anche le porte cittadine sono recenti se si escludono l’antica
Porta Romana, porta Nuova edificata in tempi napoleonici e
porta Ticinese. Si è già detto del Duomo, non ancora compresa
ma non compressa dall’attuale grande piazza, sotto
la cui facciata le “damazze del biscottino” dopo aver
impinguato a dovere i propri cagnolini facevano ai barboni
elemosina a profusione; e si è detto dell’abside indicato da
Porta anche in un famoso endecasillabo dell’epistola “Il
Romanticismo” (“se pò nò, se pò nò ma mi la foo”) riferendosi
a coloro che, calate le braghe, defecavano ai piedi della
cattedrale gridando allo scaccino…: “Non si può, non si può,
ma io la faccio”.
Sopra
il Castello e sotto abside del Duomo Sopra
rosone abside del Duomo e sotto a sx San Gottardo in Corte e a
dx casa degli Omenoni
Da “depos al Domm” allora come oggi si intravvede il più felice ed elegante campanile romanico-gotico di Milano: San Gottardo in Corte. Al tramonto la sua lunga ombra quasi indica la statua di Carlo Porta eretta dove c’era il Verziere (mercato ortofrutticolo), proprio quello - non lontano dall’Università Statale di via Festa del Perdono ai tempi Ospedale Maggiore - della Ninetta del Verzee, capolavoro che risale ai primissimi del 1815. Dai suoi versi “esplode, tra imprecazioni e turpiloquio e toni apertamente melodrammatici la realtà squallida, angosciante, senza futuro, della vita popolana cittadina”.
Sopra
a sx Verziere (piazza Santo Stefano) e a dx chiostro
Università Statale ex Ospedale Maggiore Fuori Porta Orientale (Porta Venezia) ai margini del quattrocentesco Lazzaretto di pestifera e manzoniana memoria e di cui soltanto in via San Gregorio angolo via Tadino restano tracce delle mura esterne con sei finestre di semplici forme rinascimentali, ecco il fu cimitero di San Gregorio, oggi scomparso, dove venne sepolto come Monti e Appiani il sommo e sagace poeta milanese (nella chiesa rifatta in forme ibride all’inizio del Novecento una lapide lo ricorda). Sicuramente più fascinoso, invece, l’interno di quella che era l’ottogonale cappella del cimitero del Lazzaretto frutto dell’estro di Pellegrino Tibaldi (oggi San Carlo al Lazzaretto affacciata a viale Tunisia). E’ stata da poco restaurata con dovizia e impreziosita da un organo meccanico a nido di rondine grazie ai fondi della colta e lungimirante “grande dama” Andreina Bassetti in Rocca. Ai tempi del Carlin la cappella era aperta su tutti i lati. Il mondo cambia, sempre. Sopra
Porta Nuova e sotto Lazzaretto in via San Gregorio Sopra:
San Carlo al Lazzaretto
In fede: Andrea
Battaglini |
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